lunedì 11 gennaio 2021

Leggere e... imparare a scrivere

 


In questi tempi di pandemia ho molto riflettuto sul ruolo dei docenti della scuola secondaria di primo grado, scuola intermedia tra istruzione primaria e istruzione superiore, quindi per sua natura scuola di passaggio, più contratta rispetto agli altri ordini, in cui gli studenti dovranno essere accompagnati a mettere a frutto le competenze acquisite in precedenza e ad essere orientati alla prosecuzione degli ordini di scuola futuri
Talora, però, in riferimento ad alcune competenze e strumentalità, non so se siamo in grado di intervenire in modo realmente incisivo per tutti.
Prendiamo come esempio la lettura e la scrittura, competenze fondamentali al cui sviluppo e consolidamento è chiamato a dover rispondere, per forza di cose, l'insegnante di Lettere. Con i ragazzi che possiedono abilità di base già acquisite alla primaria, presso il nostro ordine di scuola si tratta di puntare all'educazione alla lettura - non tanto, come spesso si fa,  alla estemporanea promozione - e al piacere della stessa, visto che, come affermava nientemeno che Rodari, la lettura - o meglio il gusto della lettura - non può certo considerarsi un istinto naturale, ma spetta proprio alla scuola il compito di poterla mettere in atto al meglio (ma è pure sua responsabilità farla direttamente affossare, eh!). Anche per la scrittura, del resto, non si può parlare di istinto, bensì di processo difficile e gravoso (Francis Ford Fitzdegard asseriva che "Scrivere è come nuotare sott'acqua e trattenere il fiato") e spetta sempre alla scuola fare in modo che questa pratica, sicuramente faticosa e richiedente una buona dose di impegno, venga esercitata nel migliore dei modi, così da renderla competenza realmente acquisita e fruibile nel tempo e nei più variegati contesti.


E, a proposito di scrittura, quando facciamo scrivere i primi testi ai ragazzi che giungono dalla scuola primaria, chiediamo quasi sempre di parlare di loro stessi, magari proprio tra le attività di accoglienza svolte nelle prime settimane di lezione.
Dobbiamo riflettere su un dato di fatto, però: non è così scontato che tutti lo sappiano fare.
Ci saranno certamente, studenti già in grado di scrivere testi adeguatamente coerenti e coesi, ma ce ne saranno anche molti altri che, di fronte al foglio bianco, riscontreranno difficoltà ad organizzare e concretizzare su carta le idee. Altri ancora queste idee non sapranno proprio dove andarsele a cercare.
Come intervenire in tutti questi casi? Come essere da stimolo a chi le abilità già le possiede e come fare in modo che si attivino anche i più dubbiosi e i più recalcitranti?
Come far diventare la scrittura una attività soddisfacente facendo in modo che i ragazzi si sentano sempre più competenti a partire dai loro diversi livelli di partenza?
Impossibile soprassedere a questa domanda: se non ce la poniamo noi insegnanti di Lettere (o docenti di ambito umanistico della primaria), chi altri dovrebbe farlo?
Vediamo come fare almeno un tentativo per provare a dare una risposta.


Insegnare e imparare a scrivere

Qualche anno fa ho assistito alla presentazione del libro Mio fratello rincorre i dinosauri e l’autore, Giacomo Mazzariol, ha riferito alla platea che, sì, lui scriveva dei buoni testi già dai tempi del liceo, ma nessuno, in realtà, gli aveva mai insegnato come fare a scrivere e, se ci penso, nessuno lo ha neppure mai insegnato a me. 
Invece la scrittura è un’abilità che si può insegnare, o almeno si possono far sperimentare le strategie per esercitarla al meglio, e il suo processo può essere accompagnato e progressivamente migliorato nel corso del tempo: ci sarà chi, forse, risulterà fin da subito più avvantaggiato perché, per talento individuale o per predisposizione alla lettura o alla scrittura per piacere personale, scriverà già volentieri di suo, ma non si tratta certo di considerare la scrittura un istinto naturale o una predisposizione individuale valida per tutti! 
Qui provo, come al solito, a mostrare un procedimento pratico da poter sperimentare in una qualsiasi classe prima di scuola secondaria di primo grado a cui venga richiesto, come sempre succede, di produrre il classico testo scritto di presentazione di se stessi. Chissà, forse ce la facciamo a non leggere dei testi molto simili a mo’ di elencazione statica e poco incisiva, no?
Vediamo come procedere.


Parto da un libro per ragazzi che mi è piaciuto molto e che può essere letto ad alta voce proprio a partire dai primissimi giorni di scuola, perché adatto alla fascia di età che vive il passaggio dalla primaria alla secondaria di primo grado : Villa Mannara di Laura Orsolini. Si tratta della storia di due amici che frequentano la stessa classe (prima media) e che, a seguito di un'indagine che conducono per scoprire i motivi della sparizione di un'anziana del paese, finiranno nei guai proprio all'interno di una villa dall'apparenza spaventosa e dalla quale si sentono provenire strani ululati.
Coniugare lettura ad alta voce e ripresa di testi modelli per migliorare il processo di scrittura può rivelarsi, a mio avviso, una pratica vincente sotto molti punti di vista.
Partiamo proprio dal Capitolo 2, dove si parla dei due ragazzi protagonisti alle prese con il primo giorno di scuola media, e vediamo come poter utilizzare un testo modello per mostrare ai ragazzi come iniziare ad elaborare le loro prime produzioni scritte.
In questa parte del libro Federico e Driss, così si chiamano i due amici, devono rispondere alla sollecitazione della prof di Lettere che chiede alla classe di scrivere un testo dal titolo “Chi sono?”. I due ragazzi eseguono la consegna in modo diametralmente opposto: Federico esaurisce l’argomento in poche righe, mentre Driss riesce ad elaborare un testo corposo e di sicuro effetto. Ed è proprio il testo di Driss che prenderemo a modello e che ci fornirà spunti molto interessanti per comprendere come poter riuscire a scrivere un testo in maniera impattante ed efficace e, allo stesso tempo, per poterlo mettere in pratica.

Capitolo 2 – Villa Manara di Laura Orsini

“Chi sono?”
“Eh, bella domanda” disse Federico tra sé e sé, appoggiando la fronte calda sul banco gelato. Lasciò che i primi dieci minuti passassero così, restando immobile e concentrandosi sull’aria azzurra che si augurò potesse sprigionare un’idea intelligente da scrivere nel tema.
Niente. 
Ovvio.
Sospirò, raccolse con fatica la testa e cominciò a scrivere.

Mi chiamo Federico.
Sono alto, biondo, riccio. Tutti dicono che ho dei bei capelli, ma a me non piacciono. Allora li blocco con il gel tenuta extra-strong per farli sembrare dritti. Non li voglio i capelli ricci perché li aveva mio papà che è morto l’anno scorso. Come un cretino. L’hanno investito con una macchina.
Non ho più voglia di scrivere, mi metta pure un brutto voto.

Anche il suo vicino di banco, dopo qualche minuto di esitazione, si mise a scrivere. Fece roteare la penna tra le dita e poi iniziò.

[*notare i diversi atteggiamenti precedenti la stesura del tema: Federico non sa da che parte cominciare, mentre Driss compie un gesto rituale degno di chi con la penna ha una decisa familiarità]

Io sono Driss.
Quando dico agli altri come mi chiamo, tutti rispondono “Eh?” e mi chiedono di ripetere. Eppure non è difficile da capire. Driss. Mi chiamo Driss e il mio nome mi piace. 
Vivo in questo paese da sempre, ma i miei genitori si sono trasferiti qui quindici anni fa dal Marocco. Mia madre lavora al mattino in una fabbrica di tende, lei sa cucire bene. Mio papà fa lo schiavo da un giardiniere. Dice che lo pagano poco e che lavora troppo. In effetti torna a casa sempre tardi e la mattina si alza alle cinque.
Già quando mi alzo alle sette, a me sembra di morire. Di morire dal sonno, intendo. Figuriamoci se dovessi alzarmi alle cinque: un incubo. Povero papà.
La mattina in casa mia c’è sempre confusione. Mia sorella occupa il bagno troppo a  lungo, allora mio fratello, che è più grande, picchia sulla porta finchè lei non apre. Le dice cose che non posso scrivere. E poi non le capirebbe nessuno perché parla in arabo. Io, invece, lo capisco.
Mia mamma in casa parla in arabo e quando siamo fuori, in italiano che capisce perfettamente, anche se, secondo me, lo parlo meglio io. Ho l’accento giusto. E poi leggo molto e leggere migliora il lessico. Mio padre invece non parla quasi mai e basta uno sguardo per farmi capire se sto facendo qualcosa di sbagliato. Mio fratello più piccolo fa ancora la prima elementare e per fortuna non ho altri fratelli. Siamo in quattro, più i miei sei e il nostro appartamento è piccolo. Andrebbe bene per due. Mio padre dice che sarebbe perfetto per due adulti senza figli.
A me casa mia piace; è piccola, è vero, ma è luminosa e calda d’inverno, quando qui si gela. In Marocco, invece, fa abbastanza caldo anche d’inverno.
Non ci sono mai stato in Marocco. Mio padre non ci vuole più tornare, non lo so perché. Gli ho chiesto tante volte di spiegarmi il motivo, ma lui non risponde. Gli viene la faccia scura e guarda fuori dalla finestra con le braccia incrociate, come se fosse arrabbiato.
Io ci vorrei andare. Ho visto sul pc delle foto e dei video, sembra un bel posto.
Comunque, per tornare al titolo del tema, io sono Driss. L’ho già scritto ma lo ripeto. Ho undici anni, i capelli neri e una bicicletta di seconda mano, quella vecchia di mio fratello che a sua volta l’aveva presa usata da non so chi, su Internet.
Mi piacerebbe avere una bicicletta nuova, bianca con le strisce nere o anche di un altro colore. Ma non si può, non girano tanti soldi in casa e bisogna accontentarsi.
Mi piace giocare a calcio e leggere, vado sempre in biblioteca e prendo tutti i romanzi che mi ispirano. Scelgo in base alla copertina.
Voglio diventare uno scrittore, un giorno. Io sono bravo, imparo in fretta e studio molto. Ce la posso fare e sul mio libro scriverò in alto, in grosso, il mio nome al posto di quello dell’autore. Scriverò gialli. Mi piacciono i misteri. Nel caso non dovessi riuscire ho un piano B. Farò il calciatore. No, non perché i calciatori guadagnano tanto, ma per il gusto che si prova a fare gol. Quando tiro e butto la palla in rete si innesca come un’esplosione nel petto, è una sensazione bellissima che ti fa sentire il re del mondo. I compagni di squadra ti abbracciano, il mister alza le braccia e urla gol! E io mi sento felice. Sì, se non diventerò scrittore, sarò un calciatore. Attaccante naturalmente.
Ho un buon carattere. Non comprendo bene cosa significhi ma lo dicono sia mia madre che mia zia, quindi penso sia vero. Mi piace stare con i ragazzi della mia età, ma al momento non ho amici. Questo è il primo giorno di scuola delle medie e non mi sta piacendo un granchè. Per ora nessuno mi ha ancora rivolto la parola. Speriamo migliori.
Per concludere ho una bella parlantina, lo dice la mia maestra delle elementari, e in questa classe non conosco nessuno. Non è una bella sensazione.
Alle elementari avevo un amico, ma ha scelto di frequentare un’altra scuola e così sono rimasto da solo. “Ci vedremo lo stesso” mi aveva promesso. Non ci credo, non ci vedremo più.
Peccato. Era un buon amico


Dopo la lettura, passiamo alle consegne da impartire in aula e da mostrare ai ragazzi, step dopo step, cominciando dallo scomporre il brano letto pezzo per pezzo, così da agire non solo sulla osservazione e sulla imitazione del processo di scrittura, ma anche sulla comprensione profonda del testo letto ed ascoltato.
Ai ragazzi verrà, ovviamente, precisato che non si pretenderà che sappiano produrre un testo così denso e così ben scritto (è una scrittrice di professione che lo ha composto, come potrebbero essere in grado di farlo loro?), ma si accompagneranno punto per punto alla composizione di un loro elaborato a partire da input e strategie del brano modella da riutilizzare in modo personale. Vediamo come.

Consegna da eseguire in classe con gli studenti: smontare il testo modello pezzetto per pezzetto per far sperimentare, su imitazione, tutti gli input più significativi e far produrre un elaborato individualizzato di presentazione di sé

Io sono Driss.
Quando dico agli altri come mi chiamo, tutti rispondono “Eh?” e mi chiedono di ripetere. Eppure non è difficile da capire. Driss. Mi chiamo Driss e il mio nome mi piace.

Incipit originale in cui si parla del nostro nome

Far provare a scrivere qualche incipit originale a partire dal proprio nome.
Mostrare esempi pratici che i ragazzi possono imitare su
.nome che piace/non piace
.soprannome
.storpiature o aneddoti particolari
.nome: se si sa perché sia stato scelto
.nome: se si sa cosa significhi 
.nome nostro che "porta" orgogliosamente anche qualcun altro
.indifferenza, nome nostro considerato come qualsiasi altro nome
(proprio sul nome potranno essere svolte – prima di questa richiesta di stesura – attività di vario genere a partire da acrostici o attività riprese dal libro della Erickson Laboratorio dell'autobiografia)


Gli incipit prodotti verranno il più possibile condivisi, così che da far attivare subito nella classe un senso di comunità e compartecipazione reciproca, utile per impostare attività  cooperative future o di peer tutoring.


Vivo in questo paese da sempre, ma i miei genitori si sono trasferiti qui quindici anni fa dal Marocco.

Riferimento al luogo in cui si vive

Far passare alla precisazione del luogo in cui si vive: citare da quanto tempo vi si abita o qualsiai altra breve notizia che si ritiene utile far sapere, in proposito, nell'immediato.


Mia madre lavora al mattino in una fabbrica di tende, lei sa cucire bene. Mio papà fa lo schiavo da un giardiniere. Dice che lo pagano poco e che lavora troppo. In effetti torna a casa sempre tardi e la mattina si alza alle cinque.
Già quando mi alzo alle sette, a me sembra di morire. Di morire dal sonno, intendo. Figuriamoci se dovessi alzarmi alle cinque: un incubo. Povero papà.
La mattina in casa mia c’è sempre confusione. Mia sorella occupa il bagno troppo a  lungo, allora mio fratello, che è più grande, picchia sulla porta finché lei non apre. Le dice cose che non posso scrivere. E poi non le capirebbe nessuno perché parla in arabo. Io, invece, lo capisco.
Mia mamma in casa parla in arabo e quando siamo fuori, in italiano che capisce perfettamente, anche se, secondo me, lo parlo meglio io. Ho l’accento giusto. E poi leggo molto e leggere migliora il lessico. Mio padre invece non parla quasi mai e basta uno sguardo per farmi capire se sto facendo qualcosa di sbagliato. Mio fratello più piccolo fa ancora la prima elementare e per fortuna non ho altri fratelli

Riferimento alla famiglia
Presentare il mestiere dei genitori, aneddoti e precisazioni caratteriali, e di altri componenti familiari (se si vuole, includere anche gli animali).
Anche in questo caso si può far ricorso ad alcune attività propedeutiche alla stesura testuale contenute nel libro Laboratorio dell'autobiografia sopra menzionato.




Siamo in quattro, più i miei sei e il nostro appartamento è piccolo. Andrebbe bene per due. Mio padre dice che sarebbe perfetto per due adulti senza figli.
A me casa mia piace; è piccola, è vero, ma è luminosa e calda d’inverno, quando qui si gela. In Marocco, invece, fa abbastanza caldo anche d’inverno

Riferimento all'abitazione in cui si vive

Presentare in maniera generale la casa in cui si vive (o, in alternativa, una stanza o altro luogo dell'abitazione ritenuto preferito).
Ancora, se lo si ritiene opportuno, è possibile riferirsi ad attività sulla propria dimora presenti nel medesimo libro.



Ho undici anni, i capelli neri e una bicicletta di seconda mano, quella vecchia di mio fratello che a sua volta l’aveva presa usata da non so chi, su Internet. 
Mi piacerebbe avere una bicicletta nuova, bianca con le strisce nere o anche di un altro colore. Ma non si può, non girano tanti soldi in casa e bisogna accontentarsi. 

Accenno all’aspetto fisico e ad una particolarità (oggetto o passione)

Specificare che dovrà essere previsto solo un accenno all'aspetto fisico, così da evitare noiose connotazioni descrittive tutte molto simili ("ho i capelli lisci, lunghi, biondi, gli occhi verdi, altezza e corporatura nella norma…")
Fare poi un accenno ad un oggetto (o a una passione) da presentare subito come parte di se stessi e su cui poter tornare, se lo si vuole, anche in seguito



Mi piace giocare a calcio e leggere, vado sempre in biblioteca e prendo tutti i romanzi che mi ispirano. Scelgo in base alla copertina. 
Voglio diventare uno scrittore, un giorno. Io sono bravo, imparo in fretta e studio molto. Ce la posso fare e sul mio libro scriverò in alto, in grosso, il mio nome al posto di quello dell’autore. Scriverò gialli. Mi piacciono i misteri. Nel caso non dovessi riuscire ho un piano B. Farò il calciatore. No, non perché i calciatori guadagnano tanto, ma per il gusto che si prova a fare gol. Quando tiro e butto la palla in rete si innesca come un’esplosione nel petto, è una sensazione bellissima che ti fa sentire il re del mondo. I compagni di squadra ti abbracciano, il mister alza le braccia e urla gol! E io mi sento felice. Sì, se non diventerò scrittore, sarò un calciatore. Attaccante naturalmente.

Riferimento più completo ad una passione o ad un interesse

Parlare più compiutamente di passioni ed interessi personali: cosa si apprezza e quali sensazioni dà dedicarsi alla propria passione.



Ho un buon carattere. Non comprendo bene cosa significhi ma lo dicono sia mia madre che mia zia, quindi penso sia vero. Mi piace stare con i ragazzi della mia età, ma al momento non ho amici. Questo è il primo giorno di scuola delle medie e non mi sta piacendo un granché. Per ora nessuno mi ha ancora rivolto la parola. Speriamo migliori.

Riferimento al carattere

Esattamente come per l’aspetto fisico, ribadire che sarà bene evitare di scrivere solo un elenco di aggettivi riferiti a proprio carattere o attitudini individuali (sono simpatico, riservato, socievole, avaro), bensì far accennare ad aspetti del proprio carattere, da inserire, possibilmente, all'interno di episodi o aneddoti personali


Per concludere ho una bella parlantina, lo dice la mia maestra delle elementari, e in questa classe non conosco nessuno. Non è una bella sensazione.
Alle elementari avevo un amico, ma ha scelto di frequentare un’altra scuola e così sono rimasto da solo. “Ci vedremo lo stesso” mi aveva promesso. Non ci credo, non ci vedremo più.
Peccato. Era un buon amico.

Conclusione

Esattamente come è stato fatto notare per l'incipit, anche per la parte finale è bene far sperimentare (e poi condividere) qualche tipo di explicit originale. Per impedire che i ragazzi concludano con la consueta forma: "questo sono io", possiamo far osservare con attenzione la chiusa di Driss e provare a farla imitare: nella parte finale Driss si ricollega direttamente all’aspetto caratteriale di cui stava parlando (accennando ad un amico perduto). Ciò non toglie che si possano ricercare modalità di conclusione testuale personalizzate: l'importante è far passare il messaggio di essere meno banali possibile e che, a lettura di un esterno, il testo non possa apparire improvvisamente "troncato".



In questo percorso di sperimentazione scritta il cardine sarà quello di procedere in modo alla volta, step dopo step: facciamo provare a far scrivere i ragazzi accompagnandoli, così che si possano soffermare su ogni punto, provando a sperimentare e a far produrre degli step di testo, di cui verranno uniti i passaggi per creare un testo intero.
Ovviamente, noi insegnanti saremo sempre pronti a fornire loro consiglio e supporto personalizzato.
La fase successiva sarà quella di guidarli nel delicato lavoro di revisione (quante volte capita di sentirli dire che hanno finito e che non hanno nulla da riguardare?), ma alla revisione dovranno essere delicate altre lezioni e, naturalmente, altri post. Per ora fermiamoci qui.
Solo un’ultima riflessione che si ricollega a quanto detto all'inizio: la pandemia, anche a seguito di nuove modalità di discussione con i colleghi, mi ha indotto a riflettere su come ottimizzare i tempi della didattica (spesso sacrificata per motivazioni di tipo sanitario), su cosa concentrarmi per ottenere risultati veramente incisivi sui ragazzi che ho di fronte e su cosa poter, invece, tralasciare per dare spazio a ciò che è più efficace per l'apprendimento degli studenti e che richiede, in definitiva, la normativa delle Indicazioni Nazionali. Almeno un insegnamento positivo la pandemia ce lo dovrebbe aver insegnato: cercare di non sprecare il tempo e concentrare le energie su ciò che davvero serve per sviluppare la formazione continua. Dei ragazzi, ma anche la nostra.

9 commenti:

  1. Una riflessione e una narrazione didattica molto interessanti, Barbara, complimenti. Mi appunto il nome del libro per mio figlio, per quando vivrà il passagio alla secondaria di primo grado.

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  2. Ops, passaggio (non avevo rivisto il testo!)

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  3. Ciao Barbara! Allora: molto, troppo spesso, gli insegnanti non insegnano a scrivere (e neppure a leggere) Questo perchè è necessario coltivare, secondo me, un rapporto stretto con la propria scrittura, con la propria lettura. Direi pure con il proprio processo di apprendimento! Soltanto così, però, la nostra voce, la voce che a loro arriva, sarà autentica! Un abbraccio e, come sempre, complimenti! a.

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    1. Ti ringrazio e sono completamente d'accordo con tutto ciò che hai detto

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  4. Barbara! Bellissimo percorso! Ma dove li scovi questi spunti 😁???

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  5. Grazie! Beh, ho la mente perennemente in movimento :-D e mi diverto a riordinare le idee per mettere a frutto percorsi che potrebbero essere fruttuosi (anche per evitare che mi si aggroviglino troppo in testa e che mi mandino in confusione ;-) )

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  6. Ho trovato la tua analisi estremamente lucida, riecheggia certe cose di Ermanno Detti e Tullio De Mauro. Anche il puntualizzare il ruolo di questa “terra di mezzo” che è la secondaria di primo grado, mi pare azzeccato, così come i suggerimenti di lettura che proponi. Da insegnante, proprio della secondaria di primo grado, ho la sensazione che sia questa parte del percorso scolastico che faccia dimenticare il piacere della lettura. Dall'analisi dell'andamento del mercato editoriale si capisce che la letteratura per l'infanzia è quella che ha risentito meno della crisi dell'intero comparto. Vi è poi una sorta di repulsa diffusa – proposte come la tua, sono in controtendenza – nei confronti della lettura da parte della maggior parte dei preadolescenti. Degli adolescenti non ne parliamo. Ora, è probabile che questo fenomeno sia da attribuire in larga misura a cambiamenti radicali della società, anche rapidissimi. Ma la sensazione che ho maturato in questi anni è che l'eccessivo indugiare della scuola sulla valutazione, pure di un pezzo consistente degli insegnanti, abbia finito per finalizzare ogni attività scolastica al successo nel profitto, dunque, derubricando la lettura (e la scrittura con essa) a mero accessorio delle attività didattiche. Progressivamente si è perso quell'approccio appagante alla lettura come strumento di arricchimento personale e per la costruzione di abilità astrattive e senso critico. Invece, pare, che essa vada praticata lo stretto necessario per consentire un risultato comunque quantificabile numericamente, e certamente ha assunto un ruolo del tutto secondario rispetto a pratiche francamente disumanizzanti come test e prove INVALSI.

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    1. Come non essere d'accordo? Ti ringrazio per la tua interessante riflessione.

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