domenica 11 dicembre 2022

Tipo da stereotipo sarai tu!

 



- Prof, quest'anno studieremo i continenti extra-europei, vero?
- Sì, è così.
- Bene! Non vedo l'ora di fare il Giappone! Tanto prima o poi ci andrò!
- A me piacerebbe sapere qualcosa di più sul Qatar. Ho visto certi stadi spettacolari a questi mondiali!
- Il mio amore sono gli Usa. Mi piace tutto degli Usa. Anche mangiare hamburger tutti i giorni.
- Io voglio visitare le Cascate del Niagara e il Canada.
- Io voglio andare al Carnevale di Rio.
- Io a Dubai! 
- Io a Seul!
- Anche l'Australia facciamo, vero? Mi ha sempre attirato, specialmente la roccia rossa in mezzo al deserto, tipo deserto del Sahara. Come si chiama...
- Ayers Rock. Non è proprio sul deserto, ma in mezzo a una prateria sconfinata, neppure somigliante al deserto del Sahara (che è in tutt'altro continente, ovviamente). 
E del Sahara, anzi dell'Africa, cosa mi dite? Nessuno vorrebbe visitarla?
- No, prof! Che ci facciamo in Africa? Scappano tutti! Sì, belli i paesaggi, gli animali. Ma c'è povertà, ci sono malattie, c'è la malaria!
- Forse potrei andare nel Mar Rosso... ma mio zio si è sentito male in hotel lo scorso anno e ha detto che bisogna stare troppo attenti all'acqua, anche quando ci laviamo i denti o facciamo la doccia. No no, meglio di no, meglio non andare. Meglio andare alle Maldive!

Questa una conversazione avvenuta durante l'ora di geografia.
Ragazzi e ragazze di dodici anni si esprimono in maniera spontanea evidenziando quanto abbiano fatto presa immagini e concetti stereotipati trasmessi dai media.
Nessuno di loro è stato in Africa e neppure negli altri paesi nominati.
Però piacciono il Giappone, gli Stati Uniti, l'Australia, il Canada o altre località legate a situazioni di svago associate a un certo benessere e, fondamentalmente, agli standard provenienti dal mondo occidentale che loro conoscono e in cui sono quotidianamente immersi.
Ottima occasione per far riflettere su come superare un certo tipo di immaginario basato su STEREOTIPI, su come estendere lo sguardo ai vari PUNTI DI VISTA e come predisporre all'accoglienza verso tutto ciò che appare lontano e ignoto.


Dal libro Raccontare la geografia della Erickson ricavo subito una serie di spunti per una prima attività da proporre ai ragazzi. Comincio, infatti, presentando i differenti continenti attraverso dei planisferi che li pongano rispettivamente al centro dei luoghi in cui vivono.


Siete in una scuola in EUROPA e questo è il planisfero che vedete

Siete in una scuola in ASIA e questo è il planisfero che vedete

Siete in una scuola in AMERICA DEL NORD e questo è il planisfero che vedete

Siete in una scuola in SUDAFRICA e questo è il planisfero che vedete

Osservando le reazioni e discutendo su ciò che i ragazzi commentano, si rendono evidenti  sbigottimento e incredulità, ma anche una immediata messa in discussione di capisaldi e certezze.
La nostra Europa appare piccola e lontana rispetto al punto di osservazione, in qualche caso addirittura capovolta.
Ma se si vive in Asia, ad esempio, non ha senso mettere al centro l'Europa e questo la classe lo comprende benissimo.
I ragionamenti dimostrano che la rappresentazione del mondo è semplicemente organizzata dal nostro sguardo: noi ci poniamo istintivamente al centro della visione, ma nella realtà non lo siamo affatto perché, proprio come una sfera (o una palla), è impossibile stabilire quale sia il centro. 


Ci soffermiamo quindi sul continente africano e chiedo alla classe di appuntarsi le parole che associano all'AFRICA. Quelle che emergono sono, sostanzialmente, quelle già citate:
POVERTA' - FAME - MALATTIE - MALARIA - CALDO - DESERTO - GUERRE - DANZE TRIBALI - IMMIGRATI - PELLE NERA - ANIMALI DA SAFARI - BAOBAB - SAVANA.
Molte di esse derivano da stereotipi: non necessariamente esprimono concetti sbagliati, ma rappresentano la realtà in modo limitato e racchiudono un intero territorio all'interno delle immagini più note.

Come afferma la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie ne Il pericolo di un'unica storia

Il problema degli stereotipi non è tanto che sono falsi, ma che sono incompleti. Trasformano una storia in un'unica storia. 

Mi irrito  quando ci si riferisce all'Africa come ad un unico paese, ma se tutto quello che avessi saputo dell'Africa mi fosse arrivato da immagini popolari, avrei pensato anch'io all'Africa come a un luogo di splendidi paesaggi, bellissimi animali e persone incomprensibili che combattono guerre insensate, che muoiono di povertà e Aids, incapaci di far sentire la propria voce, in attesa di venire salvati da uno straniero bianco e gentile. Questa unica storia dell'Africa penso che derivi, in definitiva, dalla letteratura occidentale


Dopo aver letto le parole Chimamanda Ngozi Adichie, visioniamo in classe questo filmato che mostra come, per parlare correttamente di Africa, sia necessario andare oltre i soliti modi di dire:
Ogni mattina una gazzella si sveglia e sa che dovrà correre attraverso 54 stati per conoscere tutta l'Africa. Ogni mattina un leone si sveglia e sa che si dovrà allenare parecchio per percorrere tutta questa distanza. Non importa che tu sia leone o gazzella. L'importante è sapere che l'Africa non è un paese, ma è composta da 54 stati con lingue, tradizioni e culture diverse tra loro

Osservando questa carta sugli stereotipi del mondo, notiamo che l'intero continente africano viene quasi esclusivamente rappresentato con un'unica immagine


Osservando queste foto, notiamo che questi ragazzi - che appartengono all'Associazione studenti africani dell'Itacha College di New York - lanciano dei messaggi precisi sul loro paese d'origine: 

L'Africa non è un paese

non parlo africano perché l'africano non è una lingua

La domanda che adesso tutti quanti ci poniamo e su cui andremo a riflettere sarà questa: 
cosa significa tutto ciò che abbiamo letto e osservato?

E, sempre seguendo gli spunti di attività proposti dal libro Raccontare la geografia già citato, leggiamo le parole che  lo scrittore e giornalista Vittorio Zucconi ha scritto nel libro Stranieri come noi:
Noi siamo italiani e in Italia, lo sappiamo purtroppo tutti, c'è la mafia. Vuol dire che tutti gli italiani sono mafiosi, che ammazzano i giudici, che corrompono i politici? Certo che no. E invece qualche volta all'estero lo pensano. Sentono il mio nome italiano e mi guardano un po' storto con l'aria di chi si chiede: sarà un mafioso anche lui? Io mi arrabbio moltissimo e ho ragione. Ma non è forse la stessa reazione che ho quando un africano mi tormenta per vendermi un accendino in strada e io penso: uffa, questi immigrati (tutti)! come mi danno fastidio.

A proposito di immigrati, osserviamo anche come noi italiani venivamo rappresentati a inizio Novecento, epoca di nostre grandi emigrazione, in questa illustrazione realizzata negli Stati Uniti


Leggiamo, infine, qual era il ritratto degli italiani che emergeva dalle parole della Relazione dell'ispettorato per l'immigrazione al Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti redatta nell'ottobre del 1912:

Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro presso appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano un stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici, ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.


Si tratta di narrazioni vere o false?
Si sono lette parole che ancora oggi si attribuiscono ad un certo tipo di persone? A chi?
La discussione procede e ciò che ne emerge è di nuovo il fatto di quanto sia (e sia stato) facile parlare per stereotipi e raccontare storie incomplete che mettono in evidenza solo una parte della realtà, trascurandone moltissimi altri aspetti

Ed è proprio sull'importanza delle storie che facciamo convogliare tutto ciò di cui abbiamo discusso finora, leggendo ancora le parole di Chimamanda Ngozi Adichie:

Le storie sono importanti. Molte storie sono importanti. Le storie sono state usate per espropriare e per diffamare. Ma le storie si possono usare anche per dare forza e umanizzare. Le storie  possono spezzare la dignità di un popolo. Ma le storie possono anche riparare quella dignità spezzata.

E noi staremo sempre attenti a dare valore alle storie di forza, umanità e dignità.