Dante e Virgilio iniziano la loro discesa finale verso il nono e ultimo cerchio, chiamato Cocito, l'abisso ghiacciato in cui si trovano i TRADITORI, seppelliti sotto una lastra di ghiaccio e impossibilitati a muoversi, e Lucifero stesso che, come sappiamo, questa zona gelida è riuscito a crearla muovendo le terribili ali di pipistrello (ricordi la descrizione nelle terzine lette in classe e il video della Commedia in HD che mostrava una sua suggestiva animazione, vero?)
Tra i traditori dei parenti, in una zona chiamata Caina, si trova anche Gianciotto Malatesta, come rivelato da Francesca durante la sua rievocazione dell'amore che in vita l'aveva legata a Paolo (Caina attende chi a vita ci spense).
Tra i traditori dei parenti, in una zona chiamata Caina, si trova anche Gianciotto Malatesta, come rivelato da Francesca durante la sua rievocazione dell'amore che in vita l'aveva legata a Paolo (Caina attende chi a vita ci spense).
L'attenzione di Dante viene però attratta da due peccatori che si trovano insieme in una buca e uno di questi divora selvaggiamente il cranio dell'altro: una scena da autentico film horror!
Noi eravam partiti già da ello,
ch'io vidi due ghiacciati in una buca,
sì che l'un capo a l'altro era cappello;
e come 'l pan per fame si manduca,
così 'l sovran li denti a l'altro pose
là 've 'l cervel s'aggiugne con la nuca
Notiamo subito la differenza tra questi due dannati, legati dall'odio, e i due dannati, legati dall'amore, che Dante aveva incontrato nel girone dei lussuriosi: immagine tenera di due anime che volavano insieme sbattute nella bufera nel caso di Paolo e Francesca, immagine raccapricciante, con un peccatore che rosicchia il capo dell'altro, nel caso di questi due ultimi peccatori.
Ma chi sono i due protagonisti di questa scena così macabra?
I personaggi sono due uomini potenti, rivali per motivazioni di egemonia politicsa, vissuti a Pisa e contemporanei di Dante: il conte Ugolino della Gherardesca e l'arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini.
Ugolino della Gherardesca era un uomo politico proveniente da una nobile famiglia ghibellina appartenete agli Hoestaufen, ma, privo di scrupoli, non ebbe remore ad allearsi con la fazione dei guelfi. All'interno delle cariche politiche ricoperte all'interno della città di Pisa, egli si ritrovò in aperto contrasto con l'arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini, ghibellino, per ottenere un'influenza in città sempre più marcata.
La voce popolare tramandava che Ugolino avesse commesso in vita qualcosa di orribile e la sua morte è ancora oggi avvolta in un alone di mistero. Da alcune fonti storiche trecentesche sembrerebbe che l'arcivescovo Ruggieri avesse invitato Ugolino ad un pranzo per discutere di questioni politiche e, quel che è certo, è stato il fatto che ne avesse approfittato per tradirlo: Ugolino viene così imprigionato insieme ai suoi figli presso la Torre Muda a Pisa (così chiamata perché si diceva vi sostassero gli uccelli per fare la muta delle penne) e lasciato morire di fame.
Noi eravam partiti già da ello,
ch'io vidi due ghiacciati in una buca,
sì che l'un capo a l'altro era cappello;
e come 'l pan per fame si manduca,
così 'l sovran li denti a l'altro pose
là 've 'l cervel s'aggiugne con la nuca
Notiamo subito la differenza tra questi due dannati, legati dall'odio, e i due dannati, legati dall'amore, che Dante aveva incontrato nel girone dei lussuriosi: immagine tenera di due anime che volavano insieme sbattute nella bufera nel caso di Paolo e Francesca, immagine raccapricciante, con un peccatore che rosicchia il capo dell'altro, nel caso di questi due ultimi peccatori.
Ma chi sono i due protagonisti di questa scena così macabra?
I personaggi sono due uomini potenti, rivali per motivazioni di egemonia politicsa, vissuti a Pisa e contemporanei di Dante: il conte Ugolino della Gherardesca e l'arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini.
Ugolino della Gherardesca era un uomo politico proveniente da una nobile famiglia ghibellina appartenete agli Hoestaufen, ma, privo di scrupoli, non ebbe remore ad allearsi con la fazione dei guelfi. All'interno delle cariche politiche ricoperte all'interno della città di Pisa, egli si ritrovò in aperto contrasto con l'arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini, ghibellino, per ottenere un'influenza in città sempre più marcata.
La voce popolare tramandava che Ugolino avesse commesso in vita qualcosa di orribile e la sua morte è ancora oggi avvolta in un alone di mistero. Da alcune fonti storiche trecentesche sembrerebbe che l'arcivescovo Ruggieri avesse invitato Ugolino ad un pranzo per discutere di questioni politiche e, quel che è certo, è stato il fatto che ne avesse approfittato per tradirlo: Ugolino viene così imprigionato insieme ai suoi figli presso la Torre Muda a Pisa (così chiamata perché si diceva vi sostassero gli uccelli per fare la muta delle penne) e lasciato morire di fame.
Dante chiede al peccatore perché stia facendo una cosa così crudele e costui, interrompendo il suo macabro pasto, alza la testa, si pulisce la bocca con i capelli rimasti sul cranio che nella parte posteriore era marcia, e dice che se parlare con lui sarebbe servito per gettare discredito e odio sul dannato che stava rosicchiando, allora lo avrebbe fatto, seppur sia consapevole che sarà molto doloroso e, sicuramente, parlerà e piangerà insieme.
Anche in questo caso si può fare un parallelismo con il personaggio di Francesca: Ugolino parla e piange, ricordando un evento doloroso, per screditare e buttare odio sul suo nemico, quindi per vendetta, mentre Francesca piangeva e parlava a ricordo di un momento felice, paragonato alla disperazione presente, desiderosa - nel nome dell'amore - di rispondere alle richieste di Dante, nei confronti del quale usa dei modi estremamente gentili.
La bocca sollevò dal fiero pasto
quel peccator, forbendola a'capelli
del capo ch'elli avea di retro guasto.
Poi cominciò: "Tu vuo' ch'io rinnovelli
disperato dolor che 'l cor mi preme
già pur pensando, pria ch'io ne favelli.
Ma se le mie parole esser dien seme
che frutti infamia al traditor ch'io rodo,
parlare e lagrimar vedrai insieme
La bocca sollevò dal fiero pasto
quel peccator, forbendola a'capelli
del capo ch'elli avea di retro guasto.
Poi cominciò: "Tu vuo' ch'io rinnovelli
disperato dolor che 'l cor mi preme
già pur pensando, pria ch'io ne favelli.
Ma se le mie parole esser dien seme
che frutti infamia al traditor ch'io rodo,
parlare e lagrimar vedrai insieme
A Ugolino non importa nulla chi sia Dante e il motivo per cui si trovi nella profondità dell'Inferno, ma capisce che è toscano, quindi accetta di parlare unicamente perché gli interessa gettare infamia sul suo nemico, in un ultimo disperato e inutile tentativo di vendetta.
Ugolino fa nome e cognome suo e del peccatore che sta rosicchiando, così che il viaggiatore fiorentino possa subito riconoscerlo, vista l'eco che aveva avuto la sua storia all'interno dei confini toscani, però rivela a Dante che, anche se ciò che gli è accaduto è un fatto ben noto, è sua intenzione svelare come il dannato che sta rosicchiando si sia reso responsabile della sua morte, così che possa essere compreso quanto in vita sia stato profondamente offeso. Di nuovo si può notare una certa connessione con le parole di Francesca: anche lei aveva accennato al ricordo dell'offesa subita dal suo corpo a causa del brutale assassinio perpetrato dal marito Gianciotto.
Io non so chi tu se' nè per che modo
venuto se' qua giù; ma fiorentino
mi sembri veramente quand'io t'odo.
Tu dei saper ch'io fui conte Ugolino,
e questi è l'arcivescovo Ruggieri
or ti dirò perchè i son tal vicino.
Che per effetto de' suo' mai pensieri,
fidandomi di lui, io fossi preso
e poscia morto, dir non è mestieri;
però quel che non puoi avere inteso,
cioè come la morte mia fu cruda,
udirai e saprai s'è m'ha offeso.
Ma ecco che il conte comincia a raccontare i particolari terribili della sua morte, rievocando i giorni in cui lui e i suoi figli erano finiti rinchiusi nella Torre Muda ad attendere impotenti il trascorrere dei giorni. Ugolino dice che dentro questa torre, che ora può definirsi anche "torre della fame", il trascorrere del tempo lo si poteva percepire solo attraverso una piccola finestra (breve pertugio) da cui era visibile il passaggio della Luna.
Dopo che erano trascorsi diversi mesi di prigionia, Ugolino fa un sogno strano ed inquietante, in cui l'arcivescovo Ruggieri si trova a capo di una battuta di caccia, assieme ad uomini e cani famelici, ed un lupo con i suoi lupacchiotti, che si trovavano nelle immediate vicinanze, terrorizzati dalla paura, cominciano ad azzannarsi e mangiarsi tra di loro.
Ugolino si sveglia di soprassalto, sente piangere nel sonno i suoi bambini e si rende conto che anche loro hanno fatto lo stesso sogno, tanto che l'orrore sarà proprio quello di doverlo considerare un sogno premonitore. Ugolino si rivolge a Dante per dirgli: "Se tu non piangi per questo e per ciò che potrà succedere dopo, che cos'è che ti fa piangere allora?" (Ben se' creudel, se tu già non ti duoli pensando ciò che 'l mio cor s'annunziava; e se non piangi, di che pianger suoli?)
Si stava facendo l'ora in cui doveva arrivare la razione di cibo a loro destinata, ma tutti erano incerti e dubbiosi, temendo potesse realizzarsi una scena vista sul sogno. Ad un tratto Ugolino sente chiudere l'uscio e inchiodare la porta, segno che nessuno mai avrebbe potuto salire di nuovo nella "orribile" torre per poter dar loro da mangiare (e anche nella realtà le cronache riportano che la chiave era davvero stata gettata nell'Arno). Ormai Ugolino ha capito che è stata presa la terribile decisione di farli morire di fame. Guarda in faccia i suoi figli senza dire una parola. Non riesce neppure a piangere ed è come se fosse diventato di pietra. Cerca di non far trapelare ai suoi figli ciò che prova, vuole annullare del tutto i suoi sentimenti come fosse una pietra, ma i figli riescono lo stesso a percepire che c'è qualcosa che lo sta preoccupando. I ragazzi piangono, hanno fame, ed uno di loro, chiamato Anselmuccio, gli dice: "Perché ci guardi così padre, che cos'hai?", ma Ugolino non risponde e per tutto il giorno continua a non parlare.
Già eran desti, e l'ora s'appressava
che 'l cibo ne solea essere addotto,
e per suo sogno ciascun dubitava;
e io senti' chiavar l'uscio di sotto
a l'orribile torre, ond'io guardai
nel viso a' mie' figliuoi sanza far motto.
Io non piangea, sì dentro impetrai:
piangevan elli; e Anselmuccio mio
disse: 'Tu guardi sì padre! che hai?'
Perciò non lagrimai nè rispuos'io
tutto quel giorno nè la notte appresso,
infin che l'altro sol nel mondo uscio
Il conte sta tutto il tempo in silenzio e il giorno dopo in quel doloroso carcere entra un raggio di sole dalla piccola finestra, così che ha modo di vedere l'aspetto dei suoi ragazzi: tutti hanno dei volti spaventosamente scavati dalla fame e, guardando loro, si rende conto che anche lui avrà il medesimo aspetto. Per la rabbia si morde le mani ed i figli, credendo che lo faccia perché prova fame, si offrono come cibo per il loro padre, dicendo che è stato lui a permettere che venissero in vita i loro corpi e adesso sempre lui questi corpi può riprenderseli come vuole. Il conte non risponde, ma si calma per cercare di tranquillizzarsi. Nei giorni successivi stanno tutti in silenzio, sia lui che i figli. Di nuovo Ugolino commenta dicendo: "Ma perché terra non ti sei aperta e mi hai fatto sprofondare?" Tutti i posti sarebbero stati migliori rispetto a quello in cui adesso si trova!
Come un poco di raggio si fu messo
nel doloroso carcere, e io scorsi
per quattro visi il mio aspetto stesso,
ambo le mani per lo dolor mi morsi,
ed ei, pensando ch'io 'l fessi per voglia
di manicar, di sùbito levorsi
e disser: 'Padre, assai ci fia men doglia
se tu mangi di noi: tu ne vestisti
queste misere carni, e tu le spoglia'
Questa'mi allor per non farli più tristi;
lo dì e l'altro stemmo tutti muti;
ahi dura terra, perchè non t'apristi?
Dopo il quarto giorno uno dei suoi figli, Gaddo, il più piccolo, muore distendendosi ai piedi del conte, chiedendogli perché non lo stia aiutando... una scena di profonda commozione.
Tra il quinto e il sesto giorno Ugolino, impotente, vede cadere di fronte a lui, morti uno dopo l'altro, tutti i suoi quattro figli. Un incubo inimmaginabile per ogni genitore, una scena di inumana sofferenza in cui il pathos raggiunge livelli altissimi.
All'uomo, padre privato così crudelmente dei propri figli, ormai accecato, non resta che "brancolare" (ottima scelta di un verbo che rimanda alla cecità) sopra di loro, scuoterli e chiamarli per nome uno ad uno, e lo fa per due giorni interi, anche se era ben consapevole che tutti e quattro i ragazzi giacevano accanto a lui ormai morti.
Poscia che fummo al quarto dì venuti,
Gaddo mi si gittò disteso a' piedi,
dicendo: 'Padre mio, ché non m'aiuti?'
Quivi morì; e come tu mi vedi,
vid'io cascar li tre ad uno ad uno
tra 'l quinto dì e 'l sesto; ond'io mi diedi,
già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
e due dì li chiamai, poi che fur morti.
Poscia, più che 'l dolor, potè 'l digiuno.
Infine l'ultimo verso del racconto di Ugolino, terribile ed ambiguo:
poscia, più che 'l dolor, potè 'l digiuno.
Di fronte a queste parole, la critica si divide nelle interpretazioni:
1) per una parte dei critici anche Ugolino, dopo qualche giorno, muore di fame, più che per dolore.
2) per un'altra parte, invece, preso dalla morsa della fame e del digiuno, finisce per nutrirsi della carne dei suoi figli, dando vita ad un terribile episodio di cannibalismo dovuto alla condizione disumana e tremenda che si ritrova costretto a vivere. Del resto, il sogno premonitore parlava di lupi e lupacchiotti che si mangiavano tra di loro, nell'episodio la fame è il filo conduttore e anche la pena che Ugolino è costretto a scontare per l'eternità prevede l'idea del pasto come forma di cannibalismo, in quanto il conte rosicchia il cranio dell'arcivescovo Ruggieri che ha, di fatto, provocato la morte per fame sua e dei suoi figli.
Tu con quale di queste due interpretazioni sei d'accordo?
Finita la narrazione della propria morte, con uno sguardo torvo e gli occhi torti, il conte torna a rosicchiare la testa dell'arcivescovo Ruggieri, proprio come fosse un cane che rosicchia il suo osso, e l'episodio terrificante si chiude così.
Quand'ebbe detto ciò, con li occhi torti
riprese 'l teschio misero co' denti,
che furo a l'osso, come d'un can, forti.
Dante prorompe con una terribile invettiva contro Pisa, augurandosi che le due isole della Capraia e della Gorgona si muovano e blocchino l'Arno, facendolo straripare per annegare tutti i cittadini di questa crudele città. Se Ugolino aveva commesso delle azioni tremende solo lui doveva pagare e non i suoi figli che non avevano alcuna colpa; Pisa ha permesso invece che questo avvenisse e da qui deriva l'ira di Dante nei confronti di questa città (anche i suoi figli furono costretti a seguire il padre in esilio e lui insiste sul concetto che sia sbagliato far scontare ai figli le colpe commesse dai familiari, in quanto lui stesso ne aveva fatto esperienza).
Ahi Pisa, vituperio delle genti
del bel paese dove 'l sì suona,
poi che i vicini a te punir son lenti,
muovasi la Capraia e la Gorgona,
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
sì ch'elli annieghi in te ogni persona!
Che se 'l conte Ugolino aveva voce
d'aver tradita te de le castella,
non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.
Innocenti facea l'età novella,
novella Tebe, Uguiccione e 'l Brigata
e li altri due che 'l canto suso appella.
L'episodio di Ugolino, seppur un po' romanzato, anche perché nessuno poteva sapere cosa in realtà fosse successo dentro quella torre nelle ore precedenti la morte dei prigionieri, crea uno scenario macabro, raccapricciante, ma allo stesso tempo commovente e straziante, visto l'atrocità che ha dovuto subire Ugolino, impotente, che ha visto morire di fronte ai suoi occhi, uno dopo l'altro, tutti i suoi figli. Per rendere ancora più struggente la scena, Dante immagina che alcuni dei figli siano piccoli, mentre i documenti dell'epoca parlano di adolescenti e forse alcuni non erano neppure figli del conte, bensì nipoti. Nulla, comunque, toglie pathos e commozione a questo episodio destinato a rimanere impresso per sempre nella mente di chi lo legge e, se avrai modo di andare a Pisa, cerca di recarti anche tu alla Torre Muda - oggi chiamata Torre della Fame - in piazza Cavalieri (a pochi metri di distanza dalla ben più nota torre pendente). Una volta lì, ti renderai conto quanto sarà emozionante ripensare all'intera scena che abbiamo appena letto e forse ti sembrerà di sentire le grida disperate di Ugolino che è rimasto solo in mezzo ai cadaveri dei suoi quattro figli innocenti.
Torre della Muda (detta oggi della fame) in Piazza dei Cavalieri (Pisa)
Qui i video dei canti XXXII e XXXIII dell'Inferno dal canale YouTube Divina Commedia in HD
Canto XXXIII Inferno Divina Commedia HD
Qui le attività da svolgere sull'episodio del Conte Ugolino
Io non so chi tu se' nè per che modo
venuto se' qua giù; ma fiorentino
mi sembri veramente quand'io t'odo.
Tu dei saper ch'io fui conte Ugolino,
e questi è l'arcivescovo Ruggieri
or ti dirò perchè i son tal vicino.
Che per effetto de' suo' mai pensieri,
fidandomi di lui, io fossi preso
e poscia morto, dir non è mestieri;
però quel che non puoi avere inteso,
cioè come la morte mia fu cruda,
udirai e saprai s'è m'ha offeso.
Ma ecco che il conte comincia a raccontare i particolari terribili della sua morte, rievocando i giorni in cui lui e i suoi figli erano finiti rinchiusi nella Torre Muda ad attendere impotenti il trascorrere dei giorni. Ugolino dice che dentro questa torre, che ora può definirsi anche "torre della fame", il trascorrere del tempo lo si poteva percepire solo attraverso una piccola finestra (breve pertugio) da cui era visibile il passaggio della Luna.
Dopo che erano trascorsi diversi mesi di prigionia, Ugolino fa un sogno strano ed inquietante, in cui l'arcivescovo Ruggieri si trova a capo di una battuta di caccia, assieme ad uomini e cani famelici, ed un lupo con i suoi lupacchiotti, che si trovavano nelle immediate vicinanze, terrorizzati dalla paura, cominciano ad azzannarsi e mangiarsi tra di loro.
Ugolino si sveglia di soprassalto, sente piangere nel sonno i suoi bambini e si rende conto che anche loro hanno fatto lo stesso sogno, tanto che l'orrore sarà proprio quello di doverlo considerare un sogno premonitore. Ugolino si rivolge a Dante per dirgli: "Se tu non piangi per questo e per ciò che potrà succedere dopo, che cos'è che ti fa piangere allora?" (Ben se' creudel, se tu già non ti duoli pensando ciò che 'l mio cor s'annunziava; e se non piangi, di che pianger suoli?)
Si stava facendo l'ora in cui doveva arrivare la razione di cibo a loro destinata, ma tutti erano incerti e dubbiosi, temendo potesse realizzarsi una scena vista sul sogno. Ad un tratto Ugolino sente chiudere l'uscio e inchiodare la porta, segno che nessuno mai avrebbe potuto salire di nuovo nella "orribile" torre per poter dar loro da mangiare (e anche nella realtà le cronache riportano che la chiave era davvero stata gettata nell'Arno). Ormai Ugolino ha capito che è stata presa la terribile decisione di farli morire di fame. Guarda in faccia i suoi figli senza dire una parola. Non riesce neppure a piangere ed è come se fosse diventato di pietra. Cerca di non far trapelare ai suoi figli ciò che prova, vuole annullare del tutto i suoi sentimenti come fosse una pietra, ma i figli riescono lo stesso a percepire che c'è qualcosa che lo sta preoccupando. I ragazzi piangono, hanno fame, ed uno di loro, chiamato Anselmuccio, gli dice: "Perché ci guardi così padre, che cos'hai?", ma Ugolino non risponde e per tutto il giorno continua a non parlare.
Già eran desti, e l'ora s'appressava
che 'l cibo ne solea essere addotto,
e per suo sogno ciascun dubitava;
e io senti' chiavar l'uscio di sotto
a l'orribile torre, ond'io guardai
nel viso a' mie' figliuoi sanza far motto.
Io non piangea, sì dentro impetrai:
piangevan elli; e Anselmuccio mio
disse: 'Tu guardi sì padre! che hai?'
Perciò non lagrimai nè rispuos'io
tutto quel giorno nè la notte appresso,
infin che l'altro sol nel mondo uscio
Il conte sta tutto il tempo in silenzio e il giorno dopo in quel doloroso carcere entra un raggio di sole dalla piccola finestra, così che ha modo di vedere l'aspetto dei suoi ragazzi: tutti hanno dei volti spaventosamente scavati dalla fame e, guardando loro, si rende conto che anche lui avrà il medesimo aspetto. Per la rabbia si morde le mani ed i figli, credendo che lo faccia perché prova fame, si offrono come cibo per il loro padre, dicendo che è stato lui a permettere che venissero in vita i loro corpi e adesso sempre lui questi corpi può riprenderseli come vuole. Il conte non risponde, ma si calma per cercare di tranquillizzarsi. Nei giorni successivi stanno tutti in silenzio, sia lui che i figli. Di nuovo Ugolino commenta dicendo: "Ma perché terra non ti sei aperta e mi hai fatto sprofondare?" Tutti i posti sarebbero stati migliori rispetto a quello in cui adesso si trova!
Come un poco di raggio si fu messo
nel doloroso carcere, e io scorsi
per quattro visi il mio aspetto stesso,
ambo le mani per lo dolor mi morsi,
ed ei, pensando ch'io 'l fessi per voglia
di manicar, di sùbito levorsi
e disser: 'Padre, assai ci fia men doglia
se tu mangi di noi: tu ne vestisti
queste misere carni, e tu le spoglia'
Questa'mi allor per non farli più tristi;
lo dì e l'altro stemmo tutti muti;
ahi dura terra, perchè non t'apristi?
Dopo il quarto giorno uno dei suoi figli, Gaddo, il più piccolo, muore distendendosi ai piedi del conte, chiedendogli perché non lo stia aiutando... una scena di profonda commozione.
Tra il quinto e il sesto giorno Ugolino, impotente, vede cadere di fronte a lui, morti uno dopo l'altro, tutti i suoi quattro figli. Un incubo inimmaginabile per ogni genitore, una scena di inumana sofferenza in cui il pathos raggiunge livelli altissimi.
All'uomo, padre privato così crudelmente dei propri figli, ormai accecato, non resta che "brancolare" (ottima scelta di un verbo che rimanda alla cecità) sopra di loro, scuoterli e chiamarli per nome uno ad uno, e lo fa per due giorni interi, anche se era ben consapevole che tutti e quattro i ragazzi giacevano accanto a lui ormai morti.
Poscia che fummo al quarto dì venuti,
Gaddo mi si gittò disteso a' piedi,
dicendo: 'Padre mio, ché non m'aiuti?'
Quivi morì; e come tu mi vedi,
vid'io cascar li tre ad uno ad uno
tra 'l quinto dì e 'l sesto; ond'io mi diedi,
già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
e due dì li chiamai, poi che fur morti.
Poscia, più che 'l dolor, potè 'l digiuno.
Infine l'ultimo verso del racconto di Ugolino, terribile ed ambiguo:
poscia, più che 'l dolor, potè 'l digiuno.
Di fronte a queste parole, la critica si divide nelle interpretazioni:
1) per una parte dei critici anche Ugolino, dopo qualche giorno, muore di fame, più che per dolore.
2) per un'altra parte, invece, preso dalla morsa della fame e del digiuno, finisce per nutrirsi della carne dei suoi figli, dando vita ad un terribile episodio di cannibalismo dovuto alla condizione disumana e tremenda che si ritrova costretto a vivere. Del resto, il sogno premonitore parlava di lupi e lupacchiotti che si mangiavano tra di loro, nell'episodio la fame è il filo conduttore e anche la pena che Ugolino è costretto a scontare per l'eternità prevede l'idea del pasto come forma di cannibalismo, in quanto il conte rosicchia il cranio dell'arcivescovo Ruggieri che ha, di fatto, provocato la morte per fame sua e dei suoi figli.
Tu con quale di queste due interpretazioni sei d'accordo?
scultura di Auguste Rodin che ritrae il conte Ugolino sopra suoi figli (museo d'Orsay, Parigi)
Finita la narrazione della propria morte, con uno sguardo torvo e gli occhi torti, il conte torna a rosicchiare la testa dell'arcivescovo Ruggieri, proprio come fosse un cane che rosicchia il suo osso, e l'episodio terrificante si chiude così.
Quand'ebbe detto ciò, con li occhi torti
riprese 'l teschio misero co' denti,
che furo a l'osso, come d'un can, forti.
Dante prorompe con una terribile invettiva contro Pisa, augurandosi che le due isole della Capraia e della Gorgona si muovano e blocchino l'Arno, facendolo straripare per annegare tutti i cittadini di questa crudele città. Se Ugolino aveva commesso delle azioni tremende solo lui doveva pagare e non i suoi figli che non avevano alcuna colpa; Pisa ha permesso invece che questo avvenisse e da qui deriva l'ira di Dante nei confronti di questa città (anche i suoi figli furono costretti a seguire il padre in esilio e lui insiste sul concetto che sia sbagliato far scontare ai figli le colpe commesse dai familiari, in quanto lui stesso ne aveva fatto esperienza).
Ahi Pisa, vituperio delle genti
del bel paese dove 'l sì suona,
poi che i vicini a te punir son lenti,
muovasi la Capraia e la Gorgona,
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
sì ch'elli annieghi in te ogni persona!
Che se 'l conte Ugolino aveva voce
d'aver tradita te de le castella,
non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.
Innocenti facea l'età novella,
novella Tebe, Uguiccione e 'l Brigata
e li altri due che 'l canto suso appella.
L'episodio di Ugolino, seppur un po' romanzato, anche perché nessuno poteva sapere cosa in realtà fosse successo dentro quella torre nelle ore precedenti la morte dei prigionieri, crea uno scenario macabro, raccapricciante, ma allo stesso tempo commovente e straziante, visto l'atrocità che ha dovuto subire Ugolino, impotente, che ha visto morire di fronte ai suoi occhi, uno dopo l'altro, tutti i suoi figli. Per rendere ancora più struggente la scena, Dante immagina che alcuni dei figli siano piccoli, mentre i documenti dell'epoca parlano di adolescenti e forse alcuni non erano neppure figli del conte, bensì nipoti. Nulla, comunque, toglie pathos e commozione a questo episodio destinato a rimanere impresso per sempre nella mente di chi lo legge e, se avrai modo di andare a Pisa, cerca di recarti anche tu alla Torre Muda - oggi chiamata Torre della Fame - in piazza Cavalieri (a pochi metri di distanza dalla ben più nota torre pendente). Una volta lì, ti renderai conto quanto sarà emozionante ripensare all'intera scena che abbiamo appena letto e forse ti sembrerà di sentire le grida disperate di Ugolino che è rimasto solo in mezzo ai cadaveri dei suoi quattro figli innocenti.
Torre della Muda (detta oggi della fame) in Piazza dei Cavalieri (Pisa)
Qui i video dei canti XXXII e XXXIII dell'Inferno dal canale YouTube Divina Commedia in HD
Canto XXXIII Inferno Divina Commedia HD
Qui le attività da svolgere sull'episodio del Conte Ugolino
ATTIVITA' sull'episodio del CONTE UGOLINO
1) Elabora uno schema ad Y e poni particolare attenzione alle connessioni che ti fa venire in mente la narrazione del conte.
2) Delinea il plot della storia narrata da Ugolino, inserendo nel climax il punto che, a tuo avviso, si mostra più carico di tensione. Sotto la linea del plot, scrivi il riassunto dell'episodio.
3) Prova a confrontare il canto di Paolo e Francesca a questa parte appena letta. Quali sono gli elementi che puoi considerare simili?
4) Con quale interpretazione della frase "Poscia, più che 'l dolor, potè 'l digiuno" ti ritrovi? Spiega le motivazioni della tua scelta
5) Cosa ne pensi dell'invettiva finale che Dante compie nei confronti di Pisa? Cerca di sviluppare una risposta abbastanza articolata (e non dire semplicemente non mi è piaciuta o ha fatto bene) in cui chiarisci la tua opinione.
6) Immagina che la Luna avesse avuto la possibilità di conversare con Ugolino parlandole dalla piccola finestra della torre. Cosa avrebbe detto al conte? Immagina un dialogo tra loro di almeno 10 battute.
7) Fingi che l'anima di Ugolino abbia avuto la possibilità di recarsi a far visita all'arcivescovo Ruggieri. Cosa potrebbe succedere, secondo te, una volta che il conte si ritrova con la possibilità di vedere il suo nemico? Cosa gli direbbe? Cosa farebbe?
8) Fai storyboard o One Pager dell'epiodio letto.
Come sempre, un po' di vostri lavori:
plot e riassunto di Ludovica
schema ad Y, plot e riassunto di Krizstian
plot e riassunto di Pamela
plot e riassunto di Cristiano
dialogo con tra Ugolino e la Luna di Ludovica
dialogo con tra Ugolino e la Luna di Krizstian
Dialogo tra Ugolino e la Luna di Achille
dialogo tra Ugolino e la Luna di Pamela
Dialogo tra Ugolino e la Luna di Rachele
Dialogo tra Ugolino e la Luna di Alessandro C.
Dialogo tra Ugolino e la Luna di Davide
Dialogo con la Luna e incontro con Ruggieri di Lapo
Riflessioni sul verso "poscia, più che 'l dolor potè il digiuno"
e sull'invettiva contro Pisa di Alessandtro C.
Riflessioni sul verso "poscia, più che 'l dolor potè il digiuno"
e sull'invettiva contro Pisa di Emma
Differenze e analogie tra le espressioni presenti nei canti di Paolo e Francesca ed Ugolino,
riflessioni sul verso "poscia, più che 'l dolor potè il digiuno"
e sull'invettiva contro Pisa di Samuele
Incontro tra Ugolino e arcivescovo Ruggieri di Samuele
plot e riassunto di Pamela
plot e riassunto di Cristiano
dialogo con tra Ugolino e la Luna di Ludovica
dialogo con tra Ugolino e la Luna di Krizstian
Dialogo tra Ugolino e la Luna di Achille
dialogo tra Ugolino e la Luna di Pamela
Dialogo tra Ugolino e la Luna di Rachele
Dialogo tra Ugolino e la Luna di Alessandro C.
Dialogo tra Ugolino e la Luna di Davide
Dialogo con la Luna e incontro con Ruggieri di Lapo
Riflessioni sul verso "poscia, più che 'l dolor potè il digiuno"
e sull'invettiva contro Pisa di Alessandtro C.
Riflessioni sul verso "poscia, più che 'l dolor potè il digiuno"
e sull'invettiva contro Pisa di Emma
Differenze e analogie tra le espressioni presenti nei canti di Paolo e Francesca ed Ugolino,
riflessioni sul verso "poscia, più che 'l dolor potè il digiuno"
e sull'invettiva contro Pisa di Samuele
Incontro tra Ugolino e arcivescovo Ruggieri di Samuele
One pager di Giulia V.
One pager di Alessandro C.
One pager di Samuele
One pager di Jessica
One pager di Desirè S.
One pager di Alessandro C.
One pager di Samuele
One pager di Jessica
One pager di Desirè S.
One pager di Cristiano
One pager di Alessia
One pager di Desiree R
One pager di Davide
One pager di Tommaso A.
One pager di Alessia
One pager di Desiree R
One pager di Davide
One pager di Tommaso A.
Nessun commento:
Posta un commento